Vitamina D3.1

La Vitamina D3 garantisce alle ossa ed al sistema immunitario di affrontare l’inverno nel modo migliore.

Biosintesi e via metabolica-

E’ una vitamina sui generis: le vitamine, infatti, sono molecole essenziali che l’organismo non può produrre da solo e devono essere introdotte attraverso l’alimentazione. Tutti sanno che durante la digestione si estraggono le vitamine dall’alimentazione e che il nostro corpo non le può produrre da solo. La vitamina D, però, fa eccezione alla regola; il corpo umano può produrre colecalciferolo. Questo viene perlopiù sintetizzato nella pelle per azione dei raggi solari. Già da ciò si evince come il suo fabbisogno dipenda quindi dall’esposizione alla luce piuttosto che dalla dieta; gli individui che vivono in regione soleggiate e stanno all’aria aperta necessitano, dunque, di meno vitamina esogena rispetto ai soggetti che sono poco esposti.

Si parte dalla pro-vitaminaD3 che è il 7deidrocolesterolo, nonché l’immediato precursore biosintetico del colesterolo, il quale, trovandosi nella pelle, vi assorbe luce di lunghezza d’onda tra 290 e 315nm  (radiazione B utravioletta UVB). Questo processo porta alla trasformazione del 7deidrocolesterolo / provitamina D3 -> in previtamina D3, che alla temperatura corporea diviene -> vitamina D3 (colecalfiferolo). Questa ultima forma va in circolo e nel plasma la vitamina neosintetizzata viene legata da una specifica alfa1-globulina, quindi va al fegato. In modo più semplice: la principale sorgente di vitamina D è rappresentata dalla produzione endogena del colecalciferolo (vit D3) a livello della pelle, partendo dal colesterolo, attraverso una reazione chimica che dipende dall’esposizione alla luce solare (in particolare dall’irradiazione UVB).

 Anche la vitamina D di origine alimentare, dopo esser stata assorbita con le stesse modalità di altri lipidi, arriva al fegato. Come anticipato, la quantità di calciferolo proveniente dagli alimenti è tuttavia molto bassa e la maggior parte di vitamina D viene sintetizzata a livello cutaneo per azione della luce ultravioletta. Che sia per via di produzione endogena o per via di alimentazione esogena, arriviamo al fegato.

In sede epatica la vitamina subisce una prima idrossilazione in corrispondenza del carbonio25 così da formare la 25-idrossi-D3, denominata anche 25(OH)D3 o calcidiolo. Tale reazione di idrossilazione è catalizzata da un’idrossilasi microsomiale dipendente dal citocromo P-450. La 25(OH)D3 lascia il fegato legata alla vitamin D binding protein, il complesso così composto viene captato dal rene.

Qui il calcidiolo viene idrossilato in posizione 1 per formare la 1alfa25-diidrossi-D3 (1alfa25(OH)2D3) o calcitriolo, ad opera della calcidiolo idrossilasi (anche detta 1alfaidrossilasi). A questo punto il calcitriolo, molecola finale attiva, viene rilasciato in circolo e trasportato, legato ad una specifica globulina,  ai tessuti bersaglio; intestino, ossa, rene, ed altri organi quali pancreas colon, polmone, cellule del sistema immunitario.

 

La sintesi del calcitriolo è sotto il controllo del paratormone (PTH), ormone che , secreto in presenza di bassi livelli di calcio (Ca2+) ematico, aumenta la biosintesi di quell’ enzima (1alfaidrossilasi renale) che porta al calcitriolo, che condurrà ad aumentare l’assorbimento di calcio. Schematizzando: bassa calcemia-> stimolo secrezione PTH -> l’ormone in circolo agisce attivando l’idrossilasi renale -> questo enzima catalizza il passaggio da calcidiolo a calcitriolo, quindi attiva la vitamina D-> il calcitriolo attivato allora aumenta l’assorbimento di calcio -> aumenta la calcemia.

Il tutto rientra in un sistema di feedback negativo, un meccanismo di regolazione della calcemia.

 

Il catabolismo del calcitriolo prevede a livello renale un’idrossilazione sul carbonio24, quindi si ha formazione del 1,24,25-triidrossi-D3. Questo composto viene trasportato al fegato ed eliminato con la bile.

 

Fonti alimentari-

Poiché la vitamina D può essere sintetizzata in quantità adeguate dalla maggior parte dei mammiferi sufficientemente esposti alla luce solare, non andrebbe considerata come un vero e proprio elemento dietetico essenziale, ma non per questo è meno importante di altri.

La quantità di vitamina D contenuta negli alimenti è generalmente scarsa.

Gli alimenti più ricchi di vitamina sono: il fegato, oli di pesce (di fegato di merluzzo), pesce marino (aringa, salmone, tonno, sardina) latte e tuorlo d’uovo, in parte alcuni funghi (unica fonte vegetale contenente la vitamina). Nessuna frutta o verdura, solo alcune alghe, mostrano concentrazione di vitamina rilevante.

 

Tuttavia resta importante assumere vitamina D anche con la dieta. Questo perché nella produzione endogena della vitamina c’è variabilità legata alle diverse latitudini (si vedano le ore di buio nei paesi nordici), stagioni etc ; per di più, non dimentichiamo che un’esposizione eccessiva al sole può aumentare il rischio di cancro della pelle.

 

Nelle tre tappe, passando da colecalfiferolo-> calcifediolo-> calcitriolo, si passa a molecole sempre più attive . Tuttavia si riduce l’emivita delle molecole. In biologia più la sostanza diventa attiva più deve essere rapidamente rimossa dall’interazione con il recettore, per dare sempre un’informazione puntuale.

Il calcitriolo è la molecola più attiva perché ha un’affinità per il recettore maggiore del calcifediolo; l’affinità è centinaia di volte maggiore. Il calcifediolo, però,  essendo nel sangue 100-200 volte più concentrato del calcitriolo, potrebbe lasciar pensare che, nonostante sia meno attivo e meno affine, data la quantità, alla fine faccia equivalere le due cose. In realtà, così come per altri ormoni steroidei, queste molecole nel sangue circolano legate alle proteine, ed in questo caso il legame del calcifediolo alla proteina è 10-20 volte maggiore rispetto al calcitriolo. Quindi, il calcitriolo come concentrazione è sì minore ma è molto più libero (meno legato alle globine) rispetto al calcifediolo, più attivo e più affine al recettore. Questo fa sì che l’attività del calcitriolo sia superiore.

 

Comparison of vitamin D2 and vitamin D3 supplementation in raising serum 25-hydroxyvitamin D status: a systematic review and meta-analysis

Laura Tripkovic 1Helen LambertKathryn HartColin P SmithGiselda BuccaSimon PensonGemma ChopeElina HyppönenJacqueline BerryReinhold ViethSusan Lanham-New

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/22552031/

Sfondo: Attualmente, c’è una mancanza di chiarezza in letteratura sul fatto che ci sia una differenza definitiva tra gli effetti delle vitamine D2 e ​​D3 nell’innalzamento della 25-idrossivitamina D sierica [25(OH)D].

Obiettivo: L’obiettivo di questo articolo era di riportare una revisione sistematica e una meta-analisi di studi randomizzati controllati (RCT) che hanno confrontato direttamente gli effetti della vitamina D2 e ​​della vitamina D3 sulle concentrazioni sieriche di 25(OH)D nell’uomo.

Design: Il database ISI Web of Knowledge (da gennaio 1966 a luglio 2011) è stato cercato elettronicamente per tutti gli studi pertinenti negli adulti che confrontavano direttamente la vitamina D3 con la vitamina D2. Anche il Cochrane Clinical Trials Registry, l’International Standard Randomized Controlled Trials Number register e clinicaltrials.gov sono stati cercati per qualsiasi studio non pubblicato.

Risultati: Una meta-analisi di RCT ha indicato che l’integrazione con vitamina D3 ha avuto un effetto significativo e positivo nell’innalzamento delle concentrazioni sieriche di 25(OH)D rispetto all’effetto della vitamina D2 (P = 0,001). Quando è stata confrontata la frequenza della somministrazione del dosaggio, c’è stata una risposta significativa per la vitamina D3 quando somministrata come dose in bolo (P = 0,0002) rispetto alla somministrazione di vitamina D2, ma l’effetto è stato perso con l’integrazione giornaliera.

Conclusioni: Questa meta-analisi indica che la vitamina D3 è più efficace nell’aumentare le concentrazioni sieriche di 25(OH)D rispetto alla vitamina D2, e quindi la vitamina D3 potrebbe potenzialmente diventare la scelta preferita per l’integrazione. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per esaminare le vie metaboliche coinvolte nella somministrazione orale e intramuscolare di vitamina D e gli effetti su età, sesso ed etnia, che questa revisione non è stata in grado di verificare.

 

I nostri prodotti  di casa Microfarma sia in microD che in microimmuno integrano VitaminaD3.

 

 

Funzioni “scheletriche”

La principale funzione della vitamina D riguarda il mantenimento della concentrazione fisiologica ematica, l’omeostasi, di calcio e fosfato. Tali concentrazioni devono essere mantenute entro valori ristretti: cioè essere sufficientemente elevate da permettere la mineralizzazione scheletrica (il sale di calcio tipico dell’osso è l’idrossiapatite 3[Ca3(PO4)2Ca (OH)2]  ) senza superare un certo limite onde evitare la precipitazione di sali di fosfato di Ca insolubili in sedi ectopiche.

Il livello sierico di fosfato inorganico varia in un ambito di 2,5- 4,5 mg/dL nell’adulto, la calcemia (concentrazione di calcio ematica) è mantenuta nell’intervallo 9-11 mg/dL.

Le attività del calcitriolo e del paratormone sono strettamente correlate e sinergiche, cosicchè entrambe concorrono ad aumentare il livello ematico di calcio, in caso di ipocalcemia. Parallelamente il PTH induce l’escrezione urinaria renale di fosfato per mantenere costante il prodotto di solubilità [Ca x P] il cui valore deve essere intorno a 40.

 

Possiamo dire che la vitamina è un regolatore del metabolismo del calcio, e del mantenimento della sua omeostasi.  Pertanto assume un ruolo nella calcificazione delle ossa, divenendo determinante per la crescita ed il mantenimento dello scheletro. Favorisce il processo di mineralizzazione dell’osso. È un fondamentale dei processi di rimodellamento osseo, serve a fissare il calcio nelle ossa; agisce favorendo la deposizione di calcio nelle ossa e promuovendo il mantenimento del trofismo cartilagineo. Si può dire che mantiene le ossa “ sane e forti”. Numerosi studi hanno dimostrato che la vitamina D migliora la densità minerale delle ossa, aiuta a prevenire le fratture negli anziani e nelle donne dopo la menopausa, è anche fondamentale per sostenere il corretto sviluppo dei più piccoli.

 

Di contro, la carenza di vitamina D può determinare una minore densità minerale ossea e un aumento del rischio di frattura ossea.

È, invece, documentato da studi clinici che la somministrazione di vitamina D, in associazione ad un buon apporto di calcio, a persone molto anziane (più di 85 anni) riduce il rischio di frattura.

È quindi una sostanza importantissima; dalla tenera età fino alla terza età.

 

Da aggiungere anche i benefici apportati sulla salute dentale, contribuisce al benessere dei denti.

 

 

A livello intestinale la principale funzione biologica del calcitriolo è quella di aumentare l’efficienza dell’assorbimento del calcio. Infatti il calcio contenuto negli alimenti può essere assorbito con due diversi meccanismi:

  • un trasporto attivo , che ha sede nel duodeno e nel primo tratto del digiuno, che dipende dal calcitriolo. L’azione consiste nell’induzione della biosintesi dello specifico trasportatore per il calcio TRPV6, anche denominato CaT1, e della proteina legante il calcio , proteina intracellulare che regola il flusso di calcio attraverso la mucosa intestinale.
  • un trasporto passivo attraverso le tight junctions (tra le cellule epiteliali), che ha sede nel tratto distale del digiuno, nell’ileo e nel crasso, che è indipendente dal calcitriolo.

Il primo meccanismo è in generale quello prevalente e più efficiente. 

Non a caso, una carenza di vitamina D può ridurre l’assorbimento intestinale del calcio fino a captarne solo il 15%, mentre, invece, quando non è carente, un individuo assorbe solitamente tra il 60-80% del calcio alimentare.

Ha un effetto promuovente non solo sull’assorbimento del calcio ma anche del fosfato e del magnesio.

 

Nel rene, a livello del tubulo contorto prossimale, il calcitriolo promuove il riassorbimento renale del calcio e del fosforo. In pratica diminuisce l’escrezione, la “dispersione”, di calcio nell’urina.

 

Se ci fossero solo queste azioni, al bilancio netto la calcemia non aumenterebbe. Dal momento che con la vitamina D  si ha un riassorbimento renale di calcio ma anche di fosforo, e similmente a livello intestinale si assorbono entrambi gli ioni, ci aspettiamo di  avere un incremento sia del calcio che del fosforo in maniera equimolare. Il risultato sarebbe che questi cristalli di fosfato di calcio tenderebbero a precipitare insieme, quindi il sistema non riuscirebbe a far aumentare solo il valore del calcio. Pertanto c’è un’altra funzione fondamentale a livello renale.

Qui allora il PTH stimola da un lato il riassorbimento del calcio a livello dei tubuli distali dall’altro l’eliminazione del fosfato con le urine. Così, solo con questo meccanismo di separazione del calcio dal fosforo, riusciamo ad avere un incremento selettivo della calcemia.

 

Ricapitolando: il ruolo di mantenitore dell’omeostasi calcemica si esplica attraverso l’azione della forma attiva 1,25-(OH)2D3 che favorisce:

  • l’assorbimento del Calcio e di fosforo nell’intestino;
  • il riassorbimento di Calcio e Fosforo da parte del tubulo contorto prossimale renale;
  • la deposizione del calcio a livello del tessuto osseo.

 

Fabbisogno –

Lo status  della vitamina D si valuta misurando i livelli del suo precursore [calcidiolo, generalmente indicato con la sua formula chimica 25(OH)D] nel sangue ed esprimendo la sua concentrazione in nanogrammi per millilitro (ng/ml) o in nanomoli per litro (nmol/L).

Nel sangue normalmente dosiamo il calfifediolo che ci dà la misura della concentrazione di vitamina D che abbiamo, mostrandoci se c’è un’ipovitaminosi o meno. È possibile dosare anche il calcitriolo ma è molto più complesso come metodica e molto meno affidabile perché questo è rapidamente degradato, pertanto non ci dà un’informazione sulla quantità totale dell’organismo.

 

Il valore ottimale di Vitamina D è quello al quale si è calcolato avere livelli di PTH nella norma. Il razionale di questa affermazione medica è basato sul fatto che, se si riduce la vitamina D , aumenta il PTH e questo implica un effetto negativo sull’organismo, in particolare sull’osso (rachitismo, osteomalacia).

Fino a 10-15 anni fa il livello di vitamina D “normale” si era stabilito a 20ng/ml, successivamente si è visto che comunque il PTH poteva aumentare, per cui oggi si dice che il livello di vitamina debba essere superiore ai 20, intorno a 30ng/ml.

Con questa quantità non solo si mantiene basso il PTH, ma anche si riescono ad attivare tutta quella serie di funzioni extrascheletriche, ma non secondarie in campo preventivo oncologico, cardiovascolare e modulatorio dell’infiammazione (vedi  approfondimento).

 

Non esistono parametri assoluti: i livelli minimi di concentrazione di vitamina D nel sangue raccomandati dall’Institute of Medicine statunitense sono di 20 nanomoli/litro, ma poi la maggior parte degli esperti consiglia di non scendere sotto i 30 ed altri suggeriscono addirittura che si possa già parlare di quantità insufficiente sotto i 50.

Non c’è un consenso unanime nella comunità scientifica e medica su quali siano i livelli ottimali di vitamina D e sulla definizione clinica di carenza. In un recente documento dell’Associazione Italiana degli Endocrinologi Clinici, si considerano sufficienti nella popolazione generale valori uguali o maggiori di 20 ng/ml , ma si raccomandano livelli uguali o superiori a 30 ng/mL in presenza delle seguenti condizioni di rischio e/o malattie: età avanzata, storia clinica di cadute e fratture, gravidanza ed allattamento, obesità, stile di vita con ridotta esposizione al sole, sindrome da malassorbimento, malattia renale cronica, insufficienza epatica, fibrosi cistica, iperparatiroidismo, taluni farmaci (quelli che interferiscono con il metabolismo della vitamina D, antiepilettici, farmaci per AIDS…).

In Italia i valori comunemente valutati come ideali sono quelli compresi tra 20 e 40 ng/mL, mentre al di sotto di tale soglia si pensa sia opportuno cambiare le proprie abitudini alimentari e/o quotidiane di esposizione al sole oppure fare ricorso ad integratori. Questo perché di recente nel 2019 l’Agenzia italiana del farmaco  (AIFA) ha aggiornato le indicazioni “per la prevenzione e il trattamento della carenza di vitamina D” negli adulti, stabilendo che i valori desiderabili rientrano nell’intervallo tra 20 e 40 ng/mL, e considerando invece un campanello d’allarme cui porre rimedio valori inferiori a 20 ng/mL.

 

La SINU società italiana nutrizione umana raccomanda:

https://sinu.it/2019/07/09/assunzione-raccomandata-per-la-popolazione-pri-e-assunzione-adeguata-ai/   (leggasi 11 colonna )

Lattanti 6-12 mesi _  10 μg- (400 unità internazionali o UI)

Bambini adolescenti  1-17 anni _  15 μg

Adulti (maschio- femmina)18-75 anni _ 15 μg- (600 unità internazionali o UI)

Anziani (maschio – femmina) > 75 anni _ 20 μg

Gravidanza ed allattamento 15-20 μg.

La vit. D è espressa come colecalciferolo

(1 μg di colecalciferolo = 40 IU vit. D)/ 1UI= 0,025 μg di calciferolo).

 

Gli stessi valori si riscontrano anche in tabelle raccomandate da autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) dal nome inglese European Food Security Agency), che ha recentemente aggiornato i valori dietetici di riferimento (DVR) per la vitamina D.

Inoltre qui si legge anche una colonna la dose massima tollerabile, che è:

  • 25mcg nei lattanti
  • 50 mcg nei bambini
  • 100 mcg in adolescenti, adulti e gestanti.

 

La “Food and Drug Administration” (FDA) ha consigliato ai produttori di integratori liquidi di vitamina D di inserire un contagocce contrassegnato per 400 unità internazionali (1 UI è l’equivalente biologico di 25 ng di colecalciferolo / ergocalciferolo). Inoltre, per i prodotti destinati ai lattanti, la FDA raccomanda che il contagocce non contenga più di 400 UI. Per i bambini (dalla nascita ai 12 mesi), il limite superiore tollerabile (quantità massima che può essere tollerata senza danni) è fissato a 25 μg / giorno (1.000 UI). Un migliaio di microgrammi al giorno nei bambini produce tossicità entro un mese. Dopo essere stato commissionato dal governo canadese e americano, l’ “Institute of Medicine” (IOM) ha aumentato il limite massimo tollerabile (UL) a 2.500 UI al giorno per età 1-3 anni, 3.000 UI al giorno per età 4-8 anni e 4.000 UI al giorno per età compresa tra 9 e 71 anni (comprese le donne in gravidanza o in allattamento).

 

Le più recenti Linee Guida su prevenzione e trattamento dell’ipovitaminosi D evidenziano che il fabbisogno giornaliero di vitamina D3 varia da 1500 UI/die- in adulti sani senza fattori di rischio – a 2300 UI/die (anziani).

 

L’alimentazione in Italia contribuisce per il 20% alla quantità (fabbisogno) di vitamina D, tutto il resto, la maggior parte, dipende dalla fonte endogena, quindi dall’esposizione ai raggi solari. Nella pratica l’alimentazione fornisce in media circa 300 UI/die, consistente nella parte di vitamina di origine alimentare, che si trova nel pesce di mare soprattutto. Ponendo dunque il fabbisogno giornaliero di colecalciferolo intorno alle 1500 unità, dal momento che l’80% della nostra vitamina D è quella endogena, delle unità totali (1500) solo 300 vengono introdotte con la dieta.

Tuttavia quell’80% di produzione endogena non è sempre assicurato e garantito; ad esempio alle nostre latitudini gli effetti dei raggi solari sono realmente efficaci per metà anno, non permettono di produrre la vitamina D necessaria per tutte le stagioni. Bisogna tener conto del fatto che l’effetto benefico dell’esposizione al sole, e di conseguenza la sintesi di vitamina D da parte dell’organismo, non è sempre uguale, ma dipende da numerose variabili, come per esempio l’ora in cui ci si espone, la stagione, la latitudine, l’età, il colore della pelle, l’uso di creme solari – sempre fondamentale per prevenire eventuali malattie dell’epidermide – e molto altro ancora. Inoltre, lo stile di vita moderno, che prevede sempre meno ore trascorse all’aperto anche per i bambini, non stimola la formazione della vitamina D e rende la carenza piuttosto comune. Infine, con l’avanzare dell’età si riduce l’efficacia della cute anziana nel produrre vitamina D. Considerando tutto ciò: quando l’esposizione solare è virtualmente assente debbono essere garantite integrazioni tali da coprire l’80% di 1500 o di 2300, ossia 1500 meno 300 di alimentazione e supplemento 1200, negli anziani 2300- 300 ed integro 2000 UI/die.

Il fabbisogno di calcio è circa 1,0-1,2 g al dì. Dare supplementazioni di calcio senza combinare parallelamente integrazione di colecalciferolo è inutile perché non viene assorbito dall’enterocita, anzi sarà eliminato con le feci. Ha molto più senso integrare la vitamina D senza calcio, che si prende dalla dieta normale con latticini etc, piuttosto che integrare il calcio senza la vitamina D.

 

 

Carenza-

Le cause di ipovitaminosi sono molto più frequenti di quello che si pensa. Derivano da :

  • Dieta vegana, fattore di rischio dietetico.
  • Scarsa esposizone al sole, non sempre ci sono abbastanza raggi UVB nella luce solare per produrre vitamina D. Mentre l’inverno progredisce, mano a mano, si nota una diminuzione della concentrazione di vitamina D3 nel corpo.
  • Fototipo; le persone dalla pelle scura hanno dimostrato di avere bassi livelli di vitamina D, probabilmente per una minor efficienza nella sua produzione causata dell’abbondante melanina nella pelle, che ostacolerebbe la sintesi della stessa.
  • Età; con l’invecchiare la pelle degli anziani converte meno colesterolo in colecalciferolo.
  • Obesità; la vitamina D è uno steroide, si scioglie nel grasso, pertanto nel tessuto adiposo delle persone obese ce ne è una maggiore quantità incamerata. Così, però, cala la concentrazione nel sangue. In pratica all’aumentare dell’indice di massa corporea grassa aumenta il rischio di carenza di vitamina.
  • Malattie intestinali con malassorbimento.
  • Malattie epatiche.
  • Farmaci (anticonvulsivanti, antiretrovirali) alterano il processo di idrossilazione epatica a calcifediolo.
  • Insufficienza renale che nel difetto di funzionalità dà anche un difetto di produzione di calcitriolo.
  • Ipoparatiroidismo, con deficit di PTH, ormone che controlla 1alfaidrossilasi, si blocca il funzionamento della 2° idrossilazione a calcitriolo.
  • La vitamina D viene “dispersa” anche a causa di comportamenti poco sani come l’abuso di alcol e il consumo di sostanze stupefacenti.

Si ha soprattutto in anziani ed istituzionalizzati, in quanto meno esposti al sole. Si è stimato che il 76% delle donne italiane sopra i 70 anni presenta livelli ematici di 25(OH)D inferiori a 10 ng/ml alla fine dell’inverno. Il problema dell’inadeguato livello di vitamina D non è esclusivo appannaggio degli anziani: 

Tra i neonati, che trascorrono poco tempo fuori casa, è un deficit abbastanza comune. Per questo nel primo anno di vita si somministrano gocce di vitamina D e molti medici ritengono opportuno prescrivere supplementi anche a tutti i loro pazienti oltre una certa età.

Anche negli adolescenti tuttavia si possono avere carenze, tra gennaio e marzo dati riportano che solo l’11% ha livelli ottimali di vitamina D. L’insufficienza di vitamina D interessa circa il 50% dei giovani, almeno nei mesi invernali.

E’, quindi, un problema generale della popolazione ed è particolarmente frequente in Italia.

 

I segni della carenza di vitamina D si classificano in:

  • Precoci: rappresentati da una riduzione sierica di calcio e fosforo, accompagnata da iperparatiroidiso (per feedback aumenta il PTH secreto dalle paratiroidi che, lavorando di più, cambiano il trofismo).
  • Tardivi: debolezza muscolare, dolori addominali e soprattutto inadeguata mineralizzazione dello scheletro.

 

Una deficienza di vitamina D nella dieta, associata ad insufficiente esposizione ai raggi ultravioletti, incide in modo negativo sulla calcificazione delle ossa; provoca rachitismo nei bambini ed osteomalacia negli adulti. La deficienza comporta una ridotta mineralizzazione ossea e danni allo scheletro che portano alle suddette malattie. Se manca la vitamina D ci sarà meno calcitriolo, quindi meno assorbimento di calcio a livello intestinale. Questo determinerà uno stimolo sul PTH che aumenterà per cercare di mantenere la calcemia. Come fa? Lo andrà a prendere principalmente a livello osseo. Quindi, la carenza di vitamina D incide in modo negativo sulla calcificazione delle ossa, dando rarefazione del tessuto osseo. Si avranno due quadri clinici:

 

  • Il rachitismo colpisce i bambini nei primi anni di vita (tra i 4 e i 24 mesi). La lesione caratteristica è la deficiente calcificazione delle ossa; i ridotti livelli ematici di calcio, infatti, ostacolano la normale deposizione dei cristalli di idrossiapatite nelle zone di mineralizzazione. Tuttavia, anche in assenza di tale deposizione, gli osteociti e gli osteoblasti continuano a produrre una matrice organica approssimativamente normale, costituita da collageno e mucopolisaccaridi. Durante lo sviluppo l’osso è in gran parte cartilagineo, quindi meno a rischio fratture, ma l’osso cartilagineo se diventa ancora meno mineralizzato cede rispetto al peso. Di conseguenza nel bambino si ha la formazione di strutture ossee cedevoli che, sottoposte a carico, tendono a deformarsi. La carenza di vitamina D determina un osso meno mineralizzato. La difettosa mineralizzazione dell’osso rende lo scheletro deformabile, da qui le deformazioni ossee le quali poi diventano permanenti nell’adulto quando si ha la chiusura delle cartilagini di coniugazione. Il rachitismo, tipico dell’età infantile, è una malattia caratterizzata da una crescita ridotta con ossa lunghe morbide, deboli e deformate – che si piegano sotto il peso quando i bambini iniziano a  In pratica l’inadeguata mineralizzazione dell’osso in crescita comporta deformazioni dello scheletro. Nei primi mesi di vita la sintomatologia riguarda essenzialmente il cranio con:
  • rammollimento nelle regioni occipitali, temporali e parietali
  • ritardo nella chiusura dellafontanella anteriore (patologica dopo il quindicesimo mese)
  • rosario rachitico (tra il sesto e il dodicesimo mese) ipertrofia delle giunzioni condro-costali
  • ipertrofia dellecartilagini con nodosità specialmente ai polsi e alle caviglie
  • incurvamento delle ossa lunghe degli arti inferiori eginocchio valgo.
  • questa condizione è tipicamente caratterizzata dall’inarcamento dei femori verso l’esterno.

 

Oggi è diffusa ancora in gran parte dei paesi a basso reddito.

La carenza di vitamina D rimane la principale causa di rachitismo tra i bambini piccoli nella maggior parte dei paesi, perché il latte materno è povero di vitamina D (fonte esogena), e perché le abitudini sociali e le condizioni climatiche possono impedire un’adeguata esposizione al sole(fonte endogena). Un aumento del consumo di latte fortificato in vitamina D, accoppiato con i supplementi di vitamine, coincise con un drastico calo del numero di casi di rachitismo. 

 

 

  • La stessa problematica di carenza di vitamina D, con aumento del PTH, quando si verifica in età adulta, dà una problematica diversa. L’osteomalacia è una malattia degli adulti che deriva dalla carenza di vitamina D. Questo squilibrio va a ridurre la massa di osso mineralizzato, rendendo l’osso più fragile e soggetto a rotture. Nell’osteomalacia non si ha deformità ossea ma osteopenia con aumentato rischio di fratture ed un diffuso dolore osseo cronico. L’osteomalacia si manifesta negli adulti con:
  • debolezza muscolare
  • doloria livello del tratto dorso-lombare della colonna vertebrale, della cintura pelvica
  • andatura insicura e fragilità ossea
  • densità osseaestremamente (rilevabili all’esame radiografico)
  • aumentato rischio di fratture.

 

Attenzione a non confondere l’osteomalacia con l’osteoporosi, pur aumentando entrambe il rischio di fratture. La prima, come il rachitismo, consiste in una diminuzione della sola componente minerale delle ossa (ossa meno ricche di calcio); mentre nel secondo caso risulta esserci una globale diminuzione dell’osso che riguarda sia la componente minerale che la componente organica e cellulare. L’osteomalacia è legata ad una riduzione della mineralizzazione dell’osso per carenza di vitamina D, che riduce assorbimento di calcio, quindi per compensare la calcemia aumenta la demineralizzazione ossea. Compare solitamente quando i livelli di 25-idrossivitamina D sono inferiori a circa 10 ng / mL.

 

Inoltre, un’ipovitaminosi rende i denti più deboli e vulnerabili alla carie.

Tossicità-

I limiti superiori di normalità vanno da 60 a 100ng/ml di concentrazione nel sangue.

La soglia per la tossicità della vitamina D non è stata ancora stabilita; tuttavia, secondo alcune ricerche, il livello di assunzione superiore tollerabile (UL) sarebbe di 4.000 IU / giorno per età 9-71 anni (100 μg / giorno); altri approfondimenti invece, concludono che, negli adulti sani, l’assunzione prolungata di 1250 μg / die (50.000 UI) possono produrre tossicità evidente dopo diversi mesi e aumentando i livelli sierici di 25-idrossivitamina D a 150 ng / mL e oltre. Una revisione pubblicata nel 2015 ha rilevato che sono stati riportati effetti avversi solo a concentrazioni sieriche di 25 (OH) D superiori a 200 nmol / L. I casi pubblicati di tossicità che implicano ipercalcemia nei quali la dose di vitamina D e dei livelli di 25-idrossi-vitamina D sono noti, comportano tutti un consumo ≥40.000 UI (1.000 μg) al giorno.

Generalmente diciamo che livelli di calcidiolo nel sangue superiori a 150 ng/ml (375 nmol/L) indicano una ipervitaminosi o intossicazione da vitamina D.

 

É molto difficile che si possa arrivare ad uno stato di eccessiva assunzione di calciferolo con la dieta, è invece possibile un’intossicazione a seguito di somministrazioni in bolo di alti dosaggi di vitamina D a scopo terapeutico. Negli individui sani, l’ipervitaminosi D si verifica come conseguenza dell’assunzione di dosaggi eccessivi di vitamina D, mentre non esistono casi di intossicazione da vitamina D conseguenti all’eccessiva esposizione al sole o all’eccessiva assunzione di alimenti che contengono vitamina D.

I casi di tossicità della vitamina D sono rari e causati dall’integrazione con alte dosi di vitamina D – non dagli alimenti o da un’eccessiva esposizione solare.  L’eccessiva assunzione di calciferolo con la dieta è estremamente improbabile, tenuto conto della ridotta quantità di vitamina D negli alimenti; così come non si conoscono casi di ipervitaminosi dovuta ad eccessiva esposizione al sole.  

Il rischio di intossicazione per dieta o luce solare è più teorico che reale perché comunque anche un livello stratosferico di vitamina D deve essere prima trasformato in forma attiva, cioè in calcitriolo, dall’idrossilasi renale che è sotto il controllo del PTH, altrimenti resta una molecola inerte che non produce effetti. Quindi, se inizialmente l’eccesso di vitamina D, aumentando l’assorbimento di calcio, ha innalzato la calcemia, allora il PTH, che viene secreto quando la calcemia è invece bassa, non viene più rilasciato; se non viene più messo in circolo allora non si può più attivare la vitamina D in calcitriolo. È un meccanismo di protezione dell’organismo.

 Se così non fosse un eccesso di vitamina porterebbe ad aumentati livelli sierici di calcio che nei casi più gravi dà segni e sintomi con manifestazioni evidenti.

 

Assunta in dosi appropriate, la vitamina D è generalmente considerata priva di effetti dannosi. Tuttavia, prenderne dosi eccessive, via endovenosa, può causare ipervitaminosi D con manifestazioni cliniche. È importante guardarsi dagli eccessi perché a dosi troppo elevate la vitamina D può essere tossica.

Ovviamente la tossicità della vitamina D viene trattata interrompendo l’integrazione di vitamina D e limitando l’assunzione di calcio.

 

L’ipervitaminosi (eccesso di vitamina D) determina un aumentato assorbimento intestinale  del calcio  con conseguente ipercalcemia e successiva diminuzione del PTH sierico. Ciò è facilmente identificabile per l’aumento della minzione e della sete, in un primo momento.  Se  poi non trattata, se l’ipervitaminosi si protrae nel tempo, l’ipercalcemia determina un eccesso di depositi di calcio – calcificazioni anomale- nei tessuti molli e negli organi come i reni, il fegato e il cuore, causando dolore e danni agli organi. Infine perdita dell’omeostasi calcica con conseguenti:

 

 

Per riassumere, diciamo:

  • Ottimale livello di 30ng/ml
  • Con livelli più bassi si parla di insufficienza,
  • Fino ad arrivare alla carenza grave con patologie quali rachitismo e osteomalacia
  • Eccessi sopra i 100-150ng/ml, ma, grazie a meccanismi di controllo, non si traducono in una situazione di effettivo danno clinico.

 

Dunque oggi si tende ad aumentare, “meglio abbondare”, integrare con la vitamina D3 per godere di tutti i suoi numerosi benefici.

 

 

Interazioni –

Alcuni farmaci possono invece interferire con la sintesi o con l’assorbimento della vitamina D, ad esempio:

  • farmaci antiepiletticie anticonvulsivi, alcuni di questi farmaci (fenobarbital e fenitoina) possono aumentare la degradazione della vitamina D e ridurre l’assorbimento del calcio
  • farmaci per la perdita di peso, l’assunzione di colestiramina o lipstatina per la perdita di peso può ridurre l’assorbimento di vitamina D
  • farmaci per abbassare il colesterolo, l’assunzione di alcunestatine (es. atorvastina, lovostatina e simvastatina) può influenzare il metabolismo della vitamina D e dunque alterare i livelli di calcidiolo nel sangue
  • steroidi, l’assunzione di prednisone può ridurre l’assorbimento di calcio e influenzare il metabolismo della vitamina D
  • lassativi, l’uso a lungo termine di alte dosi di lassativi può ridurre l’assorbimento di vitamina D e del calcio

La vitamina D può alterare l’efficacia o favorire la comparsa di effetti indesiderati (effetti collaterali) di alcuni farmaci di uso comune quali:

  • farmaci per il cuore, nelle persone sottoposte a terapia con farmaci che contengono digitale, la contemporanea assunzione di vitamina D potrebbe aumentare il rischio di ipercalcemia e relativi effetti sul ritmo cardiaco
  • farmaci per la pressione, se si assume vitamina D l’efficacia dei farmaci a base di diltiazem o di verapamil può essere ridotta
  • diuretici, alcune classi di questi farmaci (i diuretici a base di tiazide) usati perabbassare la pressione del sangue potrebbero ridurre l’eliminazione di calcio urinario. Ciò, se si sta assumendo vitamina D, potrebbe portare ad ipercalcemia
  • farmaci per lapsoriasi, la combinazione di vitamina D con calcipotriene (esso stesso un analogo della vitamina D), potrebbe aumentare il rischio di sovradosaggio di vitamina D e causare eccesso di calcio nel sangue (ipercalcemia).

 

Referenze:

https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/lo-sai-che/la-vitamina-d-e-una-molecola-chiave-per-la-salute

https://www.airc.it/cancro/prevenzione-tumore/il-sole/vitamina-d

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