La vitamina D è una vitamina liposolubile. Non è la classica vitamina, piuttosto ha le caratteristiche di un pro-ormone, nella cui forma attiva di calcitriolo è in grado di espletare i suoi effetti biologici interagendo con un recettore nucleare situato in più cellule di tessuti differenti bersaglio.
Con il termine vitamina D, in realtà, si identifica in realtà un gruppo di molecole (pro-ormoni; il termine è comune a due vitameri:
- la vitamina D3 o colecalciferolo, di origine animale, che deriva dal 7deidrocolesterolo, e
- la vitamina D2 o ergocalciferolo, derivante dall’ergosterolo sintetizzato da piante/ lieviti.
I due vitameri differiscono per la struttura della catena laterale: questa è satura nella D3, mentre è insatura, per la presenza di doppio legame, nella D2 (inoltre vi è presente anche un gruppo metilico).
Nel passato si riteneva che le due forme avessero attività biologica paragonabile. Adesso è noto che la vitamina D2, oltre ad essere una forma poco abbondante, è anche rapidamente catabolizzata dal fegato. In virtù di ciò la D3 viene attualmente considerata la forma biologicamente importante. D3 è anche più attiva (di 50-100 volte) della D2, motivo per cui quando supplementiamo le carenze di vitamina, anche se potremmo usare sia l’una che l’altra, viene usata prevalentemente la D3. Nell’integratore Microimmuno, infatti, è presente questa nella composizione di ingredienti, al fine di fornire un valido supporto soprattutto in inverno, quando a causa della minore radiazione UV la pelle produce meno vitamina D3.
In questo approfondimento ci focalizzeremo proprio in essa. Tuttavia entrambe D2 e D3, in quanto pro ormoni, sono forme inattive della vitamina, quindi dovranno essere mutate in calcitriolo, la forma attiva. Altresì la vitamina D introdotta con gli alimenti non è biologicamente attiva e richiede necessariamente intervento di passaggi epatici e renali.
Meccanismo d’azione-
Il calcitriolo (metabolita attivo della vitamina D) va considerato come un vero e proprio ormone perché agisce con un meccanismo d’azione ormonosimile. In particolare il suo meccanismo di azione, mediante il quale esercita i suoi effetti biologici, è analogo a quello di altri ormoni steroidei. Il calcitriolo prodotto entra a livello delle cellule poiché, essendo steroideo, riesce ad attraversare facilmente la membrana plasmatica. Si lega ad uno specifico recettore intracellulare nucleare VDR (vitamin D receptor), che si trova nel nucleo delle cellule bersaglio, attivandolo. Il complesso VDR-calcitriolo, dopo alcuni passaggi, interagisce con le sequenze nucleotidiche VDRE (vitamin D response elements) nel sito promotore di geni specifici, andando ad influenzare la sintesi proteica. In pratica il legame del calcitriolo al VDR gli consente di agire come fattore di trascrizione che modula l’espressione genica delle proteine di trasporto.
Infatti, a livello intestinale controlla i geni codificanti per il trasportatore del calcio TRPV6 e per la proteina legante il calcio; a livello osseo controlla la sintesi di osteocalcina e osteopontina, proteine regolatorie del processo di mineralizzazione; in altri organi bersaglio regola geni quali c-myc e c-fos, implicati nella proliferazione e differenziamento cellulare.
Ciò che resta costate è che l’attivazione di VDR, sia nelle cellule intestinali che delle ossa, sia nei reni che nelle paratiroidi, porta al mantenimento dei livelli di calcio e fosforo nel sangue (con l’aiuto dell’ormone paratiroideo e della calcitonina) e alla conservazione del contenuto osseo.
Funzioni-
La forma attiva della vitamina (calcitriolo o 1,25-diidrossivitamina D) si lega, per poter espletare i propri effetti, al recettore specifico e può così svolgere la propria azione, collegata più notoriamente – ma non solo – al buon funzionamento del metabolismo delle ossa. Tale recettore non si trova solo sulle cellule dell’apparato scheletrico, ma anche in molti altri tipi cellulari; da quelli del sistema immunitario a quelli di stomaco, rene, prostata e cervello. Non c’è quindi da stupirsi se gli effetti della vitamina D interessino così tanti aspetti della salute umana. Per questo che vienedefinita “para-ormone”; perché agisce su multipli organi e diversi apparati, proprio in maniera simile agli ormoni.
In questo approfondimento ci concentreremo sulla prima parte di funzioni, seguirà una seconda.
Funzioni non legate all’omeostasi del calcio-
Oltre alle azioni sul tessuto osseo, la vitamina D ne svolge numerose altre, raggruppate comunemente sotto il termine di azioni extra-scheletriche della vitamina D. La vitamina D possiede anche una varietà di effetti non correlati al metabolismo minerale e osseo.
Per quanto essenziale per la salute dell’apparato scheletrico, poiché serve ad assorbire il calcio, elemento prezioso per avere ossa forti, ha altri effetti “extrascheletrici”; d’altra parte agisce come un ormone che regola vari organi e sistemi. L’1alfa idrossilasi è espressa non solo a livello renale, ma anche in altre cellule del sistema endocrino, immunitario, dell’endotelio, ovviamente a concentrazioni molto minori rispetto al rene. Le medesime cellule tengono anche il recettore per la vitamina D, quindi sono bersaglio della molecola.
Non di meno, la vitamina D sembra avere un ruolo importante sulla crescita cellulare, regolando la proliferazione e la differenziazione. Agisce su varie funzioni neuromuscolari e immunitarie, e sulla riduzione dell’infiammazione.
Con la scoperta di ciò alla vitamina sono state attribuite nuove funzioni:
- protezione dallo sviluppo di tumori
- controllo di infiammazione sistemica e malattie autoimmuni
- modulazione delle risposte immunologiche
- regolazione della produzione di insulina e prevenzione contro il diabete
- riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e renali, tra cui la regolazione della pressione arteriosa e la prevenzione delle complicanze cardiovascolari.
Studi hanno suggerito, a proposito, un legame tra bassi livelli di vitamina D e sviluppo di problemi cardiovascolari (infarto) o aumento del rischio di sclerosi multipla nelle donne e nello sviluppo di alcune malattie autoimmuni (diabete di tipo 1, lupus eritematoso sistemico) e neurologiche (Parkinson, Alzheimer).
“La carenza di vitamina D però non ha solo un impatto negativo sulla salute dello scheletro, ma secondo alcuni potrebbe anche facilitare anche lo sviluppo e la progressione di molte ‘malattie della civilizzazione’, come disturbi cardiovascolari, diabete, malattie autoimmuni e cancro” si legge in un recente articolo pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences.
Dicevamo che studi hanno evidenziato una chiara associazione tra la carenza di vitamina D, o comunque bassi livelli, e l’incidenza di alcune malattie quali:
- malattie autoimmunied infiammatorie croniche, come l’artrite reumatoide, lupus
- diabete di tipo 1e 2
- malattie cardiovascolari
- tumori
- malattie neurologiche(ad esempio, sclerosi multipla)
- malattie respiratorie.
Il calcitriolo, di cui si è recentemente individuato uno specifico recettore nelle cellule pancreatiche beta, è necessario per la normale secrezione dell’insulina.
La vitamina D è anche associata al tono muscolare. Nell’anziano la carenza può comportare l’aumento del rischio di cadute. Ciò significa che in caso di ipovitaminosi aumenta il rischio di fratture sia agendo in modo diretto sull’osso sia indirettamente sul muscolo.
Inoltre il calcitriolo influenza anche la forza muscolare. Ciò viene trattato nel seguente studio
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/27379960/ di Chiang, C-m, Ismaeel, A, Griffis, RB, and Weems, dal titolo : “ Effects of vitamin D supplementation on muscle strength in athletes: A systematic review”. Vi si legge:
Lo scopo di questa revisione sistematica della letteratura era studiare gli effetti dell’integrazione di vitamina D sulla forza muscolare negli atleti. È stata eseguita una ricerca bibliografica computerizzata di 3 database (PubMed, MEDLINE e Scopus). Nella revisione sono stati inclusi studi randomizzati controllati (RCT), pubblicati in inglese, che hanno misurato le concentrazioni sieriche di vitamina D e la forza muscolare in partecipanti sani e atletici di età compresa tra 18 e 45 anni. La qualità è stata valutata utilizzando la scala PEDro. Sono stati identificati cinque RCT e 1 studio controllato e la valutazione della qualità ha mostrato che 5 studi erano di “qualità eccellente” e 1 di “buona qualità”. Le prove sono durate da 4 settimane a 6 mesi e i dosaggi variavano da 600 a 5.000 Unità Internazionali (UI) al giorno. La vitamina D2 è risultata inefficace nell’influenzare la forza muscolare in entrambi gli studi in cui è stata somministrata. Al contrario, la vitamina D3 ha dimostrato di avere un impatto positivo sulla forza muscolare. In 2 studi, le misure dei risultati sulla forza sono migliorate significativamente dopo l’integrazione (p ≤ 0,05). Negli altri 2 studi che somministravano vitamina D3, c’erano tendenze per il miglioramento della forza muscolare. Nello specifico, i miglioramenti della forza variavano dall’1,37 al 18,75%. Sono necessari ulteriori studi per confermare queste associazioni.
Interessante anche la correlazione tra livelli di vitamina D3 bassi e stati depressivi. La vitamina D, infatti, stimola la produzione di serotonina, l’ormone della felicità.
Inoltre chi ha livelli bassi di vitamina D ha un rischio maggiore di sviluppare coronaropatie e Alzheimer.
Sono inoltre, noti gli effetti terapeutici dell’applicazione locale (topica) di vitamina D o suoi derivati, come terapia singola o in combinazione con ormoni steroidei, nelle persone con la psoriasi.
Non certo meno importante è lo studio in corso circa il legame tra vitamina D e microbiota intestinale, l’insieme dei microbi che popolano l’intestino.
È di particolare importanza il contributo della vitamina D al buon funzionamento del sistema di difesa dell’organismo (sistema immunitario). Oltre a quanto suddetto, regola il sistema immune e svolge un importante ruolo nel rafforzamento del sistema immunitario. Ad oggi la vitamina D è uno dei fattori esterni più studiati come immunoregolatore. È ormai consolidata in letteratura l’evidenza che essa sia un vero e proprio ormone con funzioni immunomodulatorie ed antinfiammatorie. La vitamina D interagisce anche con il sistema immunitario e i VDR sono espressi in diversi tipi di globuli bianchi, compresi i monociti e le cellule T e B attivate. Infatti, interagisce con le cellule del sistema immunitario regolandone la risposta e modificando l’espressione delle citochine pro-infiammatorie. In particolare, la vitamina D è importante per l’attivazione della prima linea di difesa contro alcuni microrganismi patogeni poiché aumenta la capacità delle cellule del sistema immunitario, preposte a questa funzione, di eliminare microrganismi. Inoltre la vitamina D ha la capacità di modulare la risposta infiammatoria controllando il grado di attivazione di molte cellule del sistema immunitario e la produzione di fattori che intervengono nell’infiammazione.
È altrettanto vero che la carenza di vitamina D infatti potrebbe ostacolare il buon funzionamento del sistema immunitario portando alla comparsa di malattie legate ad esso. Non a caso quando c’è carenza di vitamina c’è un maggiore rischio di alcune malattie. È un discorso molto complesso, però si stanno facendo molti passi in avanti nella correlazione causa-effetto.
La ricerca si sta focalizzando al fine di delineare tutte le caratteristiche benefiche. In uno studio condotto da un gruppo italiano è emerso che alcuni episodi infettivi possono essere maggiormente presenti in quegli individui con bassi livelli di Vitamina D. Lo studio ha mostrato che un livello maggiore o uguale a 30 ng/ml sia il valore raccomandato per diminuire l’insorgenza degli episodi infettivi di Otite Media Acuta nei bambini.
I ricercatori stanno valutando il potenziale ruolo della vitamina D anche nella prevenzione e cura dell’influenza stagionale.
La vitamina si rivela uno strumento utile per diminuire la probabilità di andare incontro ad infezioni respiratorie ed evitare o limitare il più possibile l’assunzione di farmaci. Prevenire le Infezioni Respiratorie Ricorrenti riducendone il numero è possibile; ciò si può ottenere sfruttando le proprietà del calcitriolo, che facilmente si può integrare.
I bambini risultano sensibili più degli adulti all’insorgenza delle patologie infettive. Infatti, la diversa conformazione anatomica delle vie aeree superiore, l’immaturità immunologica, l’atopia e la verginità immunologica costituiscono i fattori responsabili, cui si aggiungono fattori di rischio vari quali esposizione a fumo passivo, malnutrizione, prematurità, scarsa igiene… Le infezioni respiratorie ricorrenti IRR sono infezioni frequenti in età pediatrica che interessano prevalentemente le alte vie respiratorie. È stimato che esse affliggano il 25% dei bambini con meno di un anno di vita ed il 18% dei bambini con un’età compresa fra 1 e 4 anni. L’alta incidenza degli eventi nei primi mesi di vita tende a diminuire nel tempo. L’insorgenza è prevalente nel periodo dell’anno più freddo compreso fra settembre ed aprile. Gli agenti microbici responsabili sono nell’85% dei casi i virus (Rhinovirus, Virus Influenzale e Parainfluenzale, VRS, Adenovirus). Solo in una piccola percentuale l’eziologia è batterica (Stafilococco Beta Emolitico di Gruppo A, Haemophilus Influenzae, Pneumococco). Il trattamento deve essere personalizzato sulla base della storia clinica e del tipo di infezione. In linea generale, considerando l’eziologia prevalentemente virale del fenomeno, non è giustificato l’uso in prima battuta di antibiotici che oltre a risultare inutili potrebbero favorire l’insorgenza di resistenze batteriche. L’antibiotico non dovrebbe essere somministrato neanche nell’ottica di prevenire le complicanze. L’atteggiamento del pediatra per i bambini che non presentino ulteriori patologie dovrebbe essere volto alla sola osservazione ed all’educazione sanitaria dei genitori al fine di sensibilizzare alla prevenzione, con integrazione di quelle sostanze che rafforzano e sostengono il sistema immunitario, tra esse emerge la vitamina D.
“Vitamin D: emerging roles in infection and immunity”
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21133662/
Nell’era preantibiotica, la tubercolosi della pelle veniva trattata con successo con la luce UV. Negli anni ’20, la tubercolosi polmonare veniva trattata con una regolare esposizione al sole. Durante l’ultimo decennio, la ricerca di laboratorio di base sulle azioni antimicrobiche della vitamina D ha fornito nuove informazioni su queste osservazioni storiche. La vitamina D ha un ruolo fondamentale nel sistema immunitario innato attraverso la produzione di peptidi antimicrobici, in particolare la catelicidina. La vitamina D sembrerebbe avere un ruolo importante nel tratto respiratorio, nella pelle e potenzialmente nella salute dell’intestino. Un certo numero di malattie autoimmuni, tra cui la sclerosi multipla, il diabete di tipo I, il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide, sono associate alla carenza di vitamina D. La vitamina D potrebbe avere un ruolo importante nella prevenzione e nel possibile trattamento di queste condizioni; tuttavia, gran parte delle prove attuali si riferisce alla scienza di base e alla ricerca epidemiologica. In molte situazioni, mancano ancora dati di studi controllati randomizzati in doppio cieco appropriati per guidare i medici nel trattamento delle malattie infettive e autoimmuni.
“Vitamin D and Its Potential Benefit for the COVID-19 Pandemic”
Nipith Charoenngam 1, Arash Shirvani 2, Michael F Holick 3
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33744444/
La vitamina D è nota non solo per la sua importanza per la salute delle ossa, ma anche per le sue attività biologiche su molti altri sistemi di organi. Ciò è dovuto alla presenza del recettore della vitamina D in vari tipi di cellule e tessuti, tra cui la pelle, il muscolo scheletrico, il tessuto adiposo, il pancreas endocrino, le cellule immunitarie e i vasi sanguigni. Studi sperimentali hanno dimostrato che la vitamina D esercita diverse azioni che si ritiene siano protettive contro l’infettività e la gravità della malattia da coronavirus (COVID-19). Questi includono gli effetti immunomodulatori sul sistema immunitario innato e adattativo, gli effetti regolatori sul sistema renina-angiotensina-aldosterone nei reni e nei polmoni e gli effetti protettivi contro la disfunzione endoteliale e la trombosi. Prima della pandemia di COVID-19, gli studi hanno dimostrato che l’integrazione di vitamina D è utile nella protezione dal rischio di contrarre un’infezione virale respiratoria acuta e può migliorare i risultati nella sepsi e nei pazienti critici. Esiste un numero crescente di dati che collegano l’infettività e la gravità del COVID-19 con lo stato della vitamina D, suggerendo un potenziale beneficio dell’integrazione di vitamina D per la prevenzione primaria o come trattamento aggiuntivo del COVID-19. Sebbene i risultati della maggior parte degli studi clinici randomizzati in corso volti a dimostrare i benefici dell’integrazione di vitamina D per questi scopi siano ancora in sospeso, non vi è alcun aspetto negativo nell’aumentare l’assunzione di vitamina D e nell’avere una ragionevole esposizione alla luce solare per mantenere la 25-idrossivitamina D sierica a un livello di almeno 30 ng/mL (75 nmol/L) e preferibilmente da 40 a 60 ng/mL (100-150 nmol/L) per ridurre al minimo il rischio di infezione da COVID-19 e la sua gravità.
Le ricerche sulla vitamina D e il suo ruolo nella salute umana sono iniziate oltre un secolo fa e nel corso del tempo hanno permesso di scoprire legami inaspettati tra carenze di questo composto nel nostro organismo e lo sviluppo di numerose patologie. Inoltre, l’interesse dei ricercatori e dei media si è ulteriormente concentrato su questo argomento negli ultimi due anni, complice la pandemia di coronavirus e il potenziale impatto dei livelli di vitamina D sulla risposta a Covid-19.
La pandemia di Covid-19 ha ulteriormente rafforzato l’interesse dei medici e dei ricercatori nei confronti della vitamina D. Nel 2019, e per i restanti due anni, l’infezione da SARS-CoV-2 ha messo a dura prova il Sistema Sanitario Nazionale comportando disagi per la popolazione costretta ad osservare lunghi periodi di quarantena. I vaccini, commercializzati successivamente, hanno reso la malattia più facilmente gestibile. Nonostante i vaccini contro l’infezione da SARS-CoV-2 abbiano ridotto drasticamente la forma grave di malattia, i ricercatori studiano molecole che leniscano i sintomi lievi o moderati e ne riducano la durata. Parallelamente allo sviluppo di nuove strategie efficaci contro il coronavirus, le ricerche si sono focalizzate nel valutare l’attività di integratori e molecole naturali note. La Vitamina D ha suscitato e continua a suscitare grande interesse in ragione della sua attività immunomodulatoria ed antinfiammatoria che la renderebbero un ottimo adiuvante, particolarmente utile in coloro che ne sono carenti.
Active vitamin D supplementation and COVID-19 infections: review
Nakhoul Farid 1 2 3, Nakhoul Rola 4, Elias A T Koch 5, Nakhoul Nakhoul 6
SARS-CoV-2, che causa la malattia letale COVid-19, è un’emergenza di sanità pubblica nella pandemia globale del 2020. L’epidemia e la rapida diffusione di SARS-CoV-2 hanno un’elevata morbilità e mortalità in particolare nei pazienti anziani con malattie croniche come diabete mellito, ipertensione arteriosa, malattia renale cronica e pazienti trapiantati di organi con terapia immunosoppressiva. I risultati preliminari supportano diversi trattamenti come la clorochina e l’infusione di plasma convalescente nei casi più gravi, con buoni risultati. D’altra parte, l’efficacia dell’integrazione con vitamina D attiva, un ormone immunomodulatore con effetti antinfiammatori e antimicrobici, non è dimostrata. Uno studio recente ha riportato che la vitamina D raggiunge effetti antivirali, bloccando direttamente la replicazione virale. SARS-CoV-2 utilizza principalmente il processo di evasione immunitaria durante l’infezione tramite la glicoproteina del picco dell’involucro, che è seguita da una tempesta di citochine, causando una grave sindrome da malattia respiratoria acuta e morte. SARS-CoV-2, utilizzando il noto enzima di conversione dell’angiotensina 2 dal picco proteico, come recettore ospite per entrare nelle cellule epiteliali alveolari, miocardiche e renali, può essere interrotto dalla vitamina D. Tuttavia, la correlazione tra i livelli di vitamina D e le morti per COVID-19 negli studi precedenti erano insignificanti. Studi retrospettivi hanno dimostrato una correlazione tra lo stato della vitamina D e la gravità e la mortalità del COVID-19, mentre altri studi non hanno trovato questa correlazione. Gli studi hanno dimostrato che la vitamina D riduce il rischio di infezioni virali acute del tratto respiratorio e polmonite attraverso l’inibizione diretta della replicazione virale, effetti antinfiammatori e immunomodulatori. I dati oggi disponibili riguardo al benefico effetto protettivo della vitamina D sono poco chiari e con risultati contrastanti. Sono necessari ampi studi di controllo randomizzati per verificare questa ipotesi. In questa recensione, spiegheremo il dialogo incrociato tra la vitamina D attiva e l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 e riassumeremo i dati della letteratura.
In un commento pubblicato nel mese di agosto 2020 su Lancet Diabetes and Endocrinology si sottolinea infatti come le categorie di persone maggiormente a rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19 (quelle obese o in età avanzata) siano in molti casi le stesse in cui di solito si registra una carenza di vitamina D. Si tratta però, come in tutti i casi di correlazione, di ipotesi il cui possibile nesso di causa ed effetto è ancora da verificare.
Si è aperto il dibattito sulla possibilità che una carenza di vitamina D aumenti il rischio di sviluppare forme gravi di infezione da Sars-CoV-2. Alleghiamo il link di un lavoro:
“Vitamin D deficiency and the COVID-19 pandemic”
Patrick Zemb 1, Peter Bergman 2, Carlos A Camargo Jr 3, Etienne Cavalier 4, Catherine Cormier 5, Marie Courbebaisse 6, Bruce Hollis 7, Fabrice Joulia 8, Salvatore Minisola 9, Stefan Pilz 10, Pawel Pludowski 11, François Schmitt 12, Mihnea Zdrenghea 13, Jean-Claude Souberbielle
- •La carenza di vitamina D è molto comune.
- •Studi randomizzati controllati hanno dimostrato che la vitamina D riduce le infezioni respiratorie acute (ARI acute respiratory infections).
- •La carenza di vitamina D è un fattore facilmente modificabile delle ARI.
- •L’integrazione giornaliera di vitamina D con dosi moderate è sicura ed economica.
- •Anche una piccola diminuzione delle infezioni da COVID-19 giustificherebbe facilmente questo intervento.
“Exploring links between vitamin D deficiency and COVID-19”
Mradul Mohan 1, Jerin Jose Cherian 2, Amit Sharma 1 3
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32946517/
La pandemia di Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) rimane una grave minaccia per la salute pubblica nella maggior parte dei paesi. Il virus causativo della sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2) può portare alla sindrome da distress respiratorio acuto e causare mortalità nei pazienti COVID-19. La vitamina D è un ormone immunomodulatore con comprovata efficacia contro varie infezioni delle vie respiratorie superiori. La vitamina D può bloccare le risposte iperinfiammatorie e accelerare il processo di guarigione delle aree interessate, principalmente nel tessuto polmonare. Pertanto, ci sono ragioni ecologiche e meccanicistiche per promuovere l’esplorazione dell’azione della vitamina D nei pazienti COVID-19. Poiché attualmente non sono disponibili farmaci curativi per COVID-19, riteniamo che il potenziale della vitamina D di alterare il decorso della gravità della malattia debba essere studiato. Possono essere intrapresi studi clinici per affrontare il valore dell’integrazione di vitamina D nei pazienti affetti da COVID-19 carenti e ad alto rischio.
L’osservazione ha però spinto alcuni ricercatori a pensare che proprio la vitamina D possa avere un ruolo nella prevenzione e nel trattamento della malattia causata dal nuovo coronavirus. In effetti, le conoscenze attuali sui meccanismi d’azione della vitamina D potrebbero sostenere l’ipotesi: la molecola è coinvolta nelle reazioni immunitarie contro i virus e inoltre regola le risposte antinfiammatorie in caso di malattie respiratorie. “È possibile che aumentare i livelli di vitamina D possa ridurre l’impatto del Covid-19, soprattutto nelle popolazioni dove i livelli sono in genere scarsi” concludono gli autori, sottolineando che la raccomandazione varrebbe per chi ha un livello di vitamina D particolarmente basso.
“Supplementation with vitamin D in the COVID-19 pandemic?”
La pandemia di coronavirus 2019 (COVID-19) è stata dichiarata dall’Organizzazione mondiale della sanità un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. COVID-19 ha un’elevata trasmissibilità e potrebbe causare lesioni polmonari acute in una frazione di pazienti. Controbilanciando l’attività del sistema renina-angiotensina, l’enzima di conversione dell’angiotensina 2, che è il recettore di fusione del virus, svolge un ruolo protettivo contro lo sviluppo di complicanze di questa infezione virale. La vitamina D può indurre l’espressione dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 e regolare il sistema immunitario attraverso diversi meccanismi. Sono stati esaminati gli studi epidemiologici sulla relazione tra vitamina D e varie infezioni respiratorie e, qui, vengono discussi i meccanismi postulati e i dati clinici a sostegno del ruolo protettivo della vitamina D contro le complicanze mediate da COVID-19.
“Evidence Regarding Vitamin D and Risk of COVID-19 and Its Severity”
Joseph Mercola 1, William B Grant 2, Carol L Wagner 3
La carenza di vitamina D coesiste nei pazienti con COVID-19. In questo momento, il colore della pelle scura, l’età avanzata, la presenza di malattie preesistenti e la carenza di vitamina D sono caratteristiche della grave malattia COVID. Di questi, solo la carenza di vitamina D è modificabile. Attraverso le sue interazioni con una moltitudine di cellule, la vitamina D può avere diversi modi per ridurre il rischio di infezioni acute del tratto respiratorio e COVID-19: ridurre la sopravvivenza e la replicazione dei virus, ridurre il rischio di produzione di citochine infiammatorie, aumentare l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 concentrazioni e mantenere l’integrità endoteliale. Quattordici studi osservazionali offrono la prova che le concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D sono inversamente correlate con l’incidenza o la gravità di COVID-19. Le prove finora soddisfano generalmente i criteri di Hill per la causalità in un sistema biologico, vale a dire forza di associazione, coerenza, temporalità, gradiente biologico, plausibilità (ad esempio, meccanismi) e coerenza, sebbene manchi la verifica sperimentale. Pertanto, le prove sembrano abbastanza solide da consentire a persone e medici di utilizzare o raccomandare integratori di vitamina D per prevenire o curare COVID-19 alla luce della loro sicurezza e dell’ampia finestra terapeutica. In vista della politica di salute pubblica, tuttavia, sono necessari i risultati di studi controllati randomizzati su larga scala sulla vitamina D, che sono attualmente in corso.
In Arabia, un gruppo di ricerca ha valutato l’efficacia dell’implementazione della Vitamina D in pazienti affetti da forme lievi o moderate di COVID-19. Nello studio sono stati inclusi pazienti con tampone molecolare positivo affetti da COVID-19 in forma lieve o moderata. Sono stati esclusi coloro che necessitavano di supplementazione di ossigeno o presentavano forme manifeste di polmonite. Inoltre, non sono stati arruolati i pazienti con livelli sierici di Vitamina D superiori a 75nmol/l, perché ritenuti non suscettibili di beneficio dall’integrazione. L’obiettivo dello studio è stato capire se l’implementazione di Vitamina D possa aiutare a ridurre i sintomi e velocizzare la risoluzione del COVID-19. Per farlo si sono selezionati due gruppi di pazienti ai quali è stata somministrata Vitamina D a diverse dosi per un periodo di due settimane. Nel 55% dei pazienti i livelli sierici si sono rivelati carenti, confermando che il deficit di Vitamina D è particolarmente frequente in alcune popolazioni come quella occidentale. La febbre si è manifestata nel 77% dei casi, la fame d’aria nel 71% assieme a dolori muscolari, tosse mal di testa e dolori articolari. Tuttavia il gruppo di pazienti che ha integrato 5000UI die di Vitamina D ha risolto più velocemente la tosse e l’ageusia con un recupero più veloce del gusto.Nessun paziente ha avuto effetti avversi derivanti dalla supplementazione ed il trattamento è stato generalmente ben tollerato. Il ruolo della vitamina nelle malattie respiratorie e nel COVID-19 sembra essere confermato dalla letteratura in questione. Nello studio analizzato l’integrazione di almeno 5000UI die di Vitamina D per un periodo di due settimane concorre ad accelerare la risoluzione della tosse, riduce i giorni di tosse, e a ripristinare più velocemente il senso del gusto.
“Covid-19 and high-dose vitamin D supplementation TRIAL in high-risk older patients (COVIT-TRIAL): study protocol for a randomized controlled trial”
Cédric Annweiler 1 2 3, Mélinda Beaudenon 4, Jennifer Gautier 4, Romain Simon 4, Vincent Dubée 5 6, Justine Gonsard 7, Elsa Parot-Schinkel 7 8, COVIT-TRIAL study group
Sfondo: con la mancanza di una terapia efficace, chemioprevenzione e vaccinazione contro SARS-CoV-2, concentrarsi sul riutilizzo immediato dei farmaci esistenti dà speranza di frenare la pandemia di COVID-19. Un recente tracciamento imparziale guidato dalla genomica degli obiettivi SARS-CoV-2 nelle cellule umane ha identificato la vitamina D tra le tre molecole con il punteggio più alto che manifestano potenziali modelli di mitigazione dell’infezione. I crescenti dati osservazionali preclinici ed epidemiologici supportano questa ipotesi. Abbiamo ipotizzato che l’integrazione di vitamina D possa migliorare la prognosi di COVID-19. Lo scopo di questo studio è confrontare l’effetto di una singola dose orale elevata di colecalciferolo rispetto a una singola dose orale standard sul tasso di mortalità per tutte le cause a 14 giorni negli anziani COVID-19 a maggior rischio di peggioramento.
Metodi: Lo studio COVIT-TRIAL è uno studio di superiorità controllato, randomizzato, in aperto, multicentrico. Pazienti di età ≥ 65 anni con COVID-19 (diagnosticato nei 3 giorni precedenti con RT-PCR e/o TC del torace) e almeno un fattore di rischio in peggioramento al momento dell’inclusione (ovvero età ≥ 75 anni o SpO2 ≤ 94% in aria ambiente, o PaO2/FiO2 ≤ 300 mmHg), senza controindicazioni all’integrazione di vitamina D e non avendo ricevuto alcuna integrazione di vitamina D > 800 UI/giorno durante il mese precedente. I partecipanti vengono randomizzati al colecalciferolo ad alte dosi (due fiale da bere da 200.000 UI contemporaneamente il giorno dell’inclusione) o al colecalciferolo a dose standard (una fiala da bere da 50.000 UI il giorno dell’inclusione). Duecentosessanta partecipanti vengono reclutati e seguiti per 28 giorni. L’outcome primario è la mortalità per tutte le cause entro 14 giorni dall’inclusione. Gli esiti secondari sono le variazioni del punteggio sulla scala Ordinal Scale for Clinical Improvement (OSCI) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per COVID-19 e il confronto tra gruppi di sicurezza. Questi risultati sono valutati al basale, al giorno 14 e al giorno 28, insieme alle concentrazioni sieriche di 25(OH)D, creatinina, calcio e albumina al basale e al giorno 7.
Discussione: COVIT-TRIAL è a nostra conoscenza il primo studio controllato randomizzato che testa l’effetto dell’integrazione di vitamina D sulla prognosi di COVID-19 nei pazienti anziani ad alto rischio. L’integrazione di vitamina D ad alte dosi può essere un trattamento efficace, ben tollerato e facilmente e immediatamente accessibile per COVID-19, la cui incidenza aumenta notevolmente e per il quale non esistono attualmente trattamenti scientificamente convalidati.
Registrazione della prova: ClinicalTrials.gov NCT04344041 . Registrato il 14 aprile 2020 STATUS DI PROVA: Reclutamento. Il reclutamento dovrebbe essere completato nell’aprile 2021.
“Vitamin D supplementation, COVID-19 and disease severity: a meta-analysis”
K Shah 1, D Saxena 1, D Mavalankar 1
Obiettivo: L’attuale meta-analisi mira a comprendere l’effetto dell’integrazione orale di vitamina D sul fabbisogno di unità di terapia intensiva (ICU) e sulla mortalità nei pazienti ospedalizzati con COVID-19.
Metodi: i database PubMed, i server di prestampa e Google Scholar sono stati cercati da dicembre 2019 a dicembre 2020. Gli autori hanno cercato gli articoli che valutavano il ruolo dell’integrazione di vitamina D su COVID-19. Lo strumento Cochrane RevMan è stato utilizzato per la valutazione quantitativa dei dati, in cui l’eterogeneità è stata valutata utilizzando le statistiche I2 e Q e i dati sono stati espressi utilizzando l’odds ratio con un intervallo di confidenza del 95%.
Risultati: la meta-analisi finale ha coinvolto dati aggregati di 532 pazienti ospedalizzati (189 con supplementazione di vitamina D e 343 con cure abituali/placebo) di COVID-19 da tre studi (due studi randomizzati controllati, uno studio caso-controllo retrospettivo). Statisticamente (p<0,0001) è stato osservato un fabbisogno di terapia intensiva inferiore nei pazienti con supplementazione di vitamina D rispetto ai pazienti senza supplementazione (odds ratio: 0,36; IC 95%: 0,210-0,626). Tuttavia, soffriva di una significativa eterogeneità, che si riduceva dopo l’analisi di sensibilità. In caso di mortalità, gli integratori di vitamina D hanno risultati comparabili con il trattamento con placebo/cure usuali (odds ratio: 0,93; IC 95%: 0,413-2,113; p=0,87). Gli studi non hanno mostrato alcun bias di pubblicazione e hanno ottenuto un discreto punteggio di qualità. Non è stato possibile eseguire l’analisi per sottogruppi a causa del numero limitato di studi e quindi non è stato possibile valutare l’effetto dipendente dalla dose e dalla durata della vitamina D.
Conclusioni: sebbene gli attuali risultati della meta-analisi indichino un potenziale ruolo della vitamina D nel migliorare la gravità del COVID-19 nei pazienti ospedalizzati, sono necessari dati più solidi da studi randomizzati controllati per comprovare i suoi effetti sulla mortalità.
“Role of vitamin D in preventing of COVID-19 infection, progression and severity”
Lo scoppio di COVID-19 ha creato una crisi di salute pubblica globale. Poco si sa sui fattori protettivi di questa infezione. Pertanto, sono assolutamente necessarie misure sanitarie preventive che possano ridurre il rischio di infezione, progressione e gravità. Questa recensione ha discusso i possibili ruoli della vitamina D nella riduzione del rischio di COVID-19 e di altre infezioni e gravità del tratto respiratorio acuto. Inoltre, questo studio ha determinato la correlazione dei livelli di vitamina D con i casi e i decessi di COVID-19 in 20 paesi europei al 20 maggio 2020. È stata osservata una significativa correlazione negativa (p=0,033) tra i livelli medi di vitamina D e i casi di COVID-19 per milione di abitanti nei paesi europei. Tuttavia, la correlazione della vitamina D con i decessi per COVID-19 di questi paesi non era significativa. Alcuni studi retrospettivi hanno dimostrato una correlazione tra lo stato della vitamina D e la gravità e la mortalità del COVID-19, mentre altri studi non hanno trovato la correlazione quando le variabili confondenti vengono aggiustate. Diversi studi hanno dimostrato il ruolo della vitamina D nel ridurre il rischio di infezioni virali acute del tratto respiratorio e polmonite. Questi includono l’inibizione diretta con replicazione virale o con modalità antinfiammatorie o immunomodulatorie. Nella meta-analisi, l’integrazione di vitamina D si è dimostrata sicura ed efficace contro le infezioni acute del tratto respiratorio. Pertanto, le persone che sono a maggior rischio di carenza di vitamina D durante questa pandemia globale dovrebbero prendere in considerazione l’assunzione di integratori di vitamina D per mantenere la 25(OH)D circolante a livelli ottimali (75-125 nmol/L). In conclusione, non ci sono prove sufficienti sull’associazione tra i livelli di vitamina D e la gravità e la mortalità del COVID-19. Pertanto, sono necessari studi di controllo randomizzati e studi di coorte per verificare questa ipotesi.
Di contro gli esperti del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), nel Regno Unito, hanno scritto, a dicembre 2020 nelle linee guida redatte in base studi su vitamina D e Covid-19, che non ci sono al momento dati sufficienti per raccomandare l’uso di supplementi di vitamina D per prevenire o trattare il Covid-19.
Sono diversi i risultati di studi già pubblicati o attualmente in corso per cercare di dare una risposta alle centinaia di domande che la pandemia ha suscitato. Nelle conclusioni di tutti questi studi si è sempre concordi nel ribadire che è importante approfondire la conoscenza di questo tema attraverso nuovi studi.
- Funzione in oncologia-
In studi di laboratorio la vitamina D ha dimostrato di svolgere attività potenzialmente in grado di prevenire o rallentare lo sviluppo del cancro: infatti frena la crescita delle cellule, ne favorisce la differenziazione, la morte programmata (apoptosi), e riduce la formazione di nuovi vasi (angiogenesi). Inibisce la proliferazione di cellule tumorali ed induce il differenziamento.
Si è dimostrato che la vitamina D è coinvolta in processi importanti anche per lo sviluppo e la progressione di tumori, come l’infiammazione, la crescita cellulare, il metabolismo del glucosio e il funzionamento del sistema immunitario.
Inoltre, molti geni che regolano la proliferazione, la differenziazione e la morte programmata (apoptosi) delle cellule sono modulati almeno in parte dalla vitamina D. Studi di epigenomica e trascrittomica condotti in laboratorio stanno svelando indizi preziosi sul coinvolgimento della vitamina D nella regolazione di una serie di geni che controllano la proliferazione, la sopravvivenza, la differenziazione e la comunicazione delle cellule tumorali e di altri tipi cellulari.
L’azione della vitamina D sembra estendersi anche al microambiente che circonda le cellule tumorali, rendendolo un terreno inospitale al cancro, grazie agli effetti sulla componente immunitaria.
In laboratorio negli animali il ruolo positivo di questo composto nella prevenzione e nel controllo dei tumori è sembrato piuttosto evidente, negli esseri umani gli studi intrapresi stanno producendo risultati, nonostante il grande lavoro svolto dai ricercatori non è ancora possibile giungere a conclusioni definitive.
Sono passati 40 anni da quando due ricercatori si sono posti la domanda “se la luce del sole e la vitamina D riducessero la probabilità di ammalarsi di tumore del colon” sulle pagine dell’International Journal of Epidemiology. Da allora le ricerche sul legame tra vitamina D e cancro non si sono fermate.
Un articolo recentemente pubblicato su Seminars in Cancer Biology ricorda che in generale bassi livelli di vitamina D sono legati a una maggiore incidenza di cancro e i dati più convincenti sono quelli che riguardano il tumore del colon-retto.
Lo stesso viene attestato in un grande studio europeo EPIC – alla cui realizzazione hanno partecipato diversi ricercatori sostenuti da AIRC; si come che le persone con i più alti livelli di questa vitamina nel sangue hanno un rischio di cancro al colon inferiore di circa il 40 per cento rispetto a chi invece ne è carente.
Ancora più recentemente, a novembre 2020, sono stati pubblicati su JAMA Network Open i risultati dello studio VITAL, dai quali emerge che assumere supplementi a base di vitamina D riduce l’incidenza di tumori in stadio avanzato e che questo effetto è più forte in chi non è obeso.
Nuove analisi delle ricerche, tra cui lo studio VITAL realizzato su oltre 25.000 persone, hanno confermato una moderata riduzione del rischio di metastasi e mortalità per tumori grazie a una supplementazione ottimale di vitamina D. Ma al di là dei casi di carenza grave – chiariscono i ricercatori – non ci sono ancora prove sufficienti per raccomandare l’integrazione generalizzata con vitamina D per migliorare la prognosi dei pazienti.
Recenti studi, per esempio, hanno evidenziato che, sebbene la vitamina D non sembri ridurre in modo significativo il rischio di insorgenza dei tumori, adeguati livelli di questa vitamina nel sangue possono migliorare le possibilità di sopravvivenza in chi si ammala di cancro. L’effetto più importante sarebbe quindi non tanto sull’incidenza dei tumori, ma sulla loro progressione.
Tuttavia, come si legge in un articolo pubblicato su Epidemiologic Reviews, per la maggior parte dei tumori restano ancora molti punti da chiarire prima di poter arrivare a prescrivere la vitamina D come strategia di prevenzione o per migliorare la sopravvivenza, tuttavia i presupposti sembrano essere promettenti. A oggi, quindi, la relazione tra tumori, vitamina D e sue possibili integrazioni rimane ancora un terreno d’indagine con diversi aspetti da approfondire, perché i risultati non sono univoci.
Tutte queste funzioni “extrascheletriche” sono effettive solo per le concentrazioni di vitamina D >>30ng/mL, mentre per ottenere gli effetti scheletrici bastano 20-25ng/mL.
Pertanto la vitamina D è importante non solo per la salute dell’osso, bensì per la salute in toto in generale dell’organismo e per la prevenzione di malattie quali cancro, infezioni virali e diabete.
Oggi, essendo difficile raggiungere una quantità dannosa di vitamina D, si cerca di somministrare ed integrare per ottenere livelli tali da attivare anche queste funzioni, assolutamente non secondarie.
Con un calcitriolo ai limiti bassi non si riescono ad attivare questi benefici, perché è captato quasi tutto dalle cellule che presentano quantità più elevata di recettore, come quelle intestinali.
Con l’integrazione si cerca di mantenere livelli di vitamina D elevati (>30 ng/mL) , in modo che le altre cellule riescano ad attivarsi. Il range ottimale per la salute è tra 30 e 50 ng/ml. Una quantità di vitamina D tra 80 e 100 ng/ml è importante anche per patologie cardiache.
Per il suo ruolo classico sul metabolismo del calcio la vitamina D è considerata essenziale per il corretto funzionamento del nostro organismo. Inoltre in virtù di questi nuovi orizzonti è oggi considerata uno dei “temi più caldi” della ricerca e della clinica.